In occasione del lancio del progetto di Mr. Savethewall The Spray Can Project la galleria Deodato Arte ha realizzato un'esclusiva intervista che ripercorre il processo creativo dell'artista.
Pierpaolo Perretta, in arte Mr. Savethewall, finalmente stai per lanciare il tuo progetto sulle spray can. Come è nata l’idea e qual è il significato di questa serie di opere?
L’idea per The Spray Can Project è nata a Los Angeles. Mentre lavoravo a una fiera insieme a Deodato [Deodato Salafia, gallerista N.d.R.] ho avuto modo, nelle pieghe del tempo libero, di girare per le vie di Los Angeles alla ricerca di arte urbana e alla ricerca, in generale, di ispirazione e di curiosità.
A Los Angeles ci sono zone, in particolare in Melrose Avenue, in cui puoi trovare numerosissime opere di street art, ma sono quasi tutti personaggi molto noti nel mondo dell'arte urbana. Dopo l’impatto iniziale di aver visto lavori del grande Obey, di Mr. Brainwash, HIJACK, Alec Monopoly e così via quello che mi ha colpito di più è stato altro. C'è una costante in tutta la città che mi ha portato a una profonda riflessione sulla nascita, la natura, l'autenticità dell'arte urbana: lo sticker. Lo sticker è personalissimo, diverso da un artista all'altro, identificativo e identitario di un artista, anche se magari non è necessariamente famoso.
Ho notato come alcuni si ripetessero pur mantenendo una grande varietà. Ce n’erano di tutte le dimensioni, da piccoli sticker a veri e propri poster. E così anche le tecniche variano, da quelli fatti a mano su carta a quelli stampati. Un artista urbano con i suoi sticker diventa riconoscibile, acquista un’identità. E ogni sticker passa un messaggio diverso, proprio come l’arte urbana nel suo complesso. Lo sticker è lo strumento perfetto per lasciare un messaggio politico, dove politico non indica la destra o la sinistra, ma un qualcosa che faccia riflettere.
A Los Angeles lo sticker è il comun denominatore di ogni angolo, di ogni via. Ci sono zone come Melrose Avenue dove i muri sono pieni, ci sono zone dove devi andare a scovarli e quando li trovi è un’emozione. Ti raccontano qualcosa di quell’artista. Tanti non hanno neanche un hashtag, un account Instagram. Non hanno niente. Se una persona senza un fine di lucro decide di disegnare una cosa e di andarla ad attaccare perché lo fa? Lo fa per un’urgenza, perché a qualunque costo deve lasciare un gesto della sua esistenza e del suo pensiero.
Nello sticker ho trovato un potentissimo strumento di arte urbana. Per me gli strumenti dell'arte urbana sono la bomboletta spray e lo sticker. Io ho scelto di rendere omaggio a questi due strumenti nel mio personalissimo Spray Can Project. Lo sticker reinterpreta, attraverso il mio ranocchio, importanti figure che hanno lasciato un segno. C'è Michael Jordan, la Madonnina, Banksy, la Regina Elisabetta e molti altri. Mentre le bombolette sono il mio lavoro, sono il colore. Ho deciso di unire bomboletta spray e sticker per lasciare il mio messaggio e per omaggiare l’essenza dell’arte urbana.
Lo strumento diventa opera d’arte?
Esatto. Ma, molte volte non ci si rende conto di come non sia lo strumento a fare l’artista. Usare lo stencil, ad esempio, non vuol dire imitare Banksy. Allo stesso modo puoi avere gli stessi colori a olio di Picasso, ma questo non ti rende Picasso. Lo strumento è a disposizione di tutti, ma il risultato non è lo stesso. Sticker, stencil e bomboletta sono gli strumenti, ma il risultato dipende da chi li usa.
Ogni bomboletta è unica, non sono prodotte in serie. Perché questa scelta?
Ogni bomboletta è un pezzo unico perché ogni bomboletta è diversa. Ci sono su impronte di colore, sono sporche, sono ammaccate. Io amo l’imperfezione dell’opera d’arte, per me l’opera d’arte più è imperfetta più ti fa capire che siamo perfettibili, che possiamo sbagliare e che soprattutto nello sbaglio siamo autentici.
Ognuno di noi tende a migliorarsi sempre di più, ma solo quando il risultato finale non è “perfetto” c’è autenticità. Anche una macchina può creare la perfezione, ma c’è differenza se lo faccio io o se lo stampo. Mi piace quando scopro nelle mie opere un’impronta digitale, un dripping. Nell’imperfezione trovo l’autenticità delle mie opere d’arte.
La varietà degli sticker sulle bombolette rispecchia il mio lavoro e la mia ricerca artistica. Il soggetto è sempre il mio ranocchio [protagonista della serie “Kiss Me” N.d.R.] che racconta come in ognuno di noi potrebbe esserci Elvis Presley, potrebbe esserci una Regina d'Inghilterra, potrebbe esserci Batman, potrebbe esserci Michael Jordan. Dentro di noi c’è un potenziale incredibile, ci vediamo tutti uguali, tutti omologati e invece siamo tutti diversi, con i nostri pregi e i nostri difetti. Il ranocchio, filo conduttore del progetto, assume ogni volta una sembianza nuova. È bello vedere come ognuno di noi si ispira a qualcuno.
Scegliere di utilizzare le mie bombolette usate porta con sé fattori interessanti anche sotto il profilo della collezione. Io utilizzo molte più bombolette di colore nero, di turchese, di verde. Sono i colori delle mie opere e questo permette di associare un certo tipo di bomboletta a un certo tipo di opera. Posso associare un set di bombolette alla tela che con esse ho realizzato.
Le bombolette inoltre sono un numero limitato perché io utilizzo circa 3-400 bombolette l'anno. Non sono infinite e certi colori (come ad esempio l’oro, l’argento) sono molto più rari perché li utilizzo di meno.
Le bombolette che usi per le tue opere acquisiscono una seconda vita. Mi sembra un discorso molto attuale e in linea con la tua poetica…
Mi fa molto piacere l'idea che non vengano smaltite. Ho deciso di accompagnare la bomboletta con il motto “Can you save the spray can?” che oltre a poter essere letto all’infinito [la frase inizia e finisce con “can”, creando un loop N.d.R.] è emblematico della mia poetica. È come dire “Can you save the wall?”, oppure, perché no, “Can you save the planet?”.
Dall’ispirazione agli stickers al bombing, in questo progetto guardi più al lato underground e urbano della street-art.
Assolutamente sì.
A fronte di come la Street Art è ormai museificata “The Spray Can Project” dà un messaggio forte.
Come Post-Street Artist la mia idea rappresenta un’evoluzione. Nel momento in cui l’arte urbana ha raggiunto la notorietà abbiamo finalmente capito che l’unico movimento globale degli anni 2000 che può essere riconosciuto come tale è proprio l’arte urbana. Nel momento in cui viene consacrata dall’art system viene forse meno l’aspetto più underground.
Lo sticker mi ha colpito proprio perché l’ho trovato autentico. Nella sua frammentazione, nella sua alta diversificazione: quello che è più capace di essere presente viene riconosciuto. E gli sticker si evolvono, c’è chi mette un hashtag, chi un QRcode. La potenzialità è enorme.
Sento che il progetto che sta prendendo vita mi identifica e racconta qualcosa di me, racconta qualcosa dei miei lavori e racconta l’esperienza importante che ho fatto a Los Angeles.